Il misterioso leader cinese, noto per essere il figlio di una famosa cantante e il discendente di un compagno d’armi di Mao Zedong, è diventato il nuovo volto della Cina. Eletto segretario generale del partito comunista nel 2012 e presidente della repubblica nel marzo successivo, il mondo occidentale e, forse, anche la Cina stessa, avevano sperato che potesse portare una ventata di riforme e liberalizzazione economica e sociale. Quando, nel settembre 2013, Xi Jinping ha annunciato il piano di costruire una “cintura economica” lungo l’antica “via della seta”, pochi hanno prestato attenzione. In un’epoca ancora fortemente globalizzata, sembrava che Xi stesse solo cercando di migliorare le infrastrutture e ridurre le barriere doganali. Il suo discorso ad Astana, la capitale del Kazakistan, si è concentrato su riferimenti storici e poetici senza fornire dettagli specifici sui finanziamenti e la portata del progetto.
Tuttavia, Xi aveva il zelo rivoluzionario di un nuovo Mao, dimostrando un’agenda nazionalista ferrea e una crescente sfida agli Stati Uniti. Nel decennio successivo, il suo piano “Belt and Road Initiative” (BRI), noto anche come “Nuova via della seta”, si è rivelato essere un ambizioso progetto imperialistico per estendere l’influenza cinese nel mondo. Con centinaia di miliardi di dollari di prestiti e investimenti, il piano ha portato alla costruzione di ponti, strade, ferrovie e porti, sancendo la Cina come una superpotenza globale. Sebbene il governo cinese affermi che il BRI abbia creato posti di lavoro e ridotto la povertà nei paesi aderenti, l’Occidente ha iniziato a vedere con sospetto questa espansione economica.
Il rapporto tra la Cina e l’Occidente si è gradualmente deteriorato, con accuse di mancanza di conformità alle regole globali e di promozione di un modello alternativo basato su uno stato di diritto flessibile. Sin dal 2013, la Cina ha iniziato a fare rivendicazioni territoriali nel Mar Cinese Meridionale, costruendo isole con piste d’atterraggio militari su aree contestate da altri paesi. Nel 2017, nello Xinjiang, ha iniziato una campagna brutale contro gli uiguri musulmani, con detenzioni di massa e azioni considerate vicine al genocidio. Due anni dopo, la Cina ha soffocato le libertà di Hong Kong, tradendo il principio di “un paese, due sistemi”.
La presidenza di Donald Trump ha portato ulteriori tensioni, con dazi su merci cinesi e il blocco delle esportazioni di microchip avanzati sotto l’amministrazione di Joe Biden. Questo blocco aveva l’obiettivo di frenare lo sviluppo tecnologico cinese, specialmente nei settori ritenuti strategici, come quello militare. In risposta, la Cina ha bloccato l’export di alcuni metalli critici e ha accusato gli Stati Uniti di cercare di preservare la propria egemonia globale.
L’Europa, trovandosi in una posizione difficile, ha gradualmente cambiato atteggiamento. Nel 2019 ha definito la Cina sia come partner commerciale che come “rivale sistemico”, iniziando a prestare maggiore attenzione alle pratiche commerciali sleali cinesi, alla dipendenza eccessiva dalle materie prime cinesi e al trasferimento di tecnologia sensibile. La fiducia nell’amicizia con Xi Jinping ha iniziato a sgretolarsi quando Vladimir Putin, stretto alleato del leader cinese, ha scatenato la guerra in Ucraina. La Cina ha appoggiato la Russia e sperato che un conflitto prolungato allontanasse l’Europa dall’America.
In questa cornice, i leader occidentali hanno scelto di mantenere una certa distanza dai festeggiamenti per il decimo anniversario della Belt and Road Initiative a Pechino. Vale la pena notare che in passato, 18 dei 27 membri dell’Unione Europea hanno firmato accordi per aderire al progetto. Tuttavia, il presidente Putin, ospite d’onore a Pechino, è attualmente sotto mandato di cattura internazionale per crimini di guerra.
Un’altra sfida per la Cina è mantenere l’adesione dell’unico paese del G7 che ha aderito alla Belt and Road Initiative: l’Italia. Questo paese è entrato nel progetto nel 2019 sotto il governo gialloverde, con un’opinione pubblica divisa tra il favorevole Matteo Salvini e i Movimento 5 Stelle, più inclini a sostenere sia Pechino che Mosca. Tuttavia, sembra che ci sia un desiderio crescente, specialmente tra i membri dell’attuale governo italiano guidato da Giorgia Meloni, di ridurre l’impegno nel progetto cinese. Molti credono che, in considerazione dell’importanza del rapporto con gli Stati Uniti, l’Italia dovrebbe cancellare questa “macchia” e prendere le distanze dalla Via della Seta. È un passo rischioso, poiché la Cina potrebbe reagire con ritorsioni commerciali. Le esportazioni italiane in Cina sono cresciute notevolmente negli ultimi anni, attestandosi a 12,8 miliardi di euro nel 2020, 15,7 miliardi nel 2021 e 16,4 miliardi nel 2022. Nel 2023, le esportazioni sembrano aver triplicato in alcuni mesi, soprattutto nel settore farmaceutico.
Nel frattempo, l’Italia ha aderito a un altro progetto guidato dagli Stati Uniti durante il G20, un corridoio economico che collegherà India, Golfo Persico ed Europa. Questo progetto prevede la costruzione di una ferrovia per migliorare la connettività tra queste regioni. L’obiettivo sembra essere ridurre la dipendenza dall’iniziativa cinese e favorire l’India come partner preferito.
La Belt and Road Initiative ha totalizzato circa 1.000 miliardi di dollari in contratti di investimento e costruzione dal 2013, ma è attualmente in una fase di stallo a causa delle difficoltà economiche interne della Cina. Il programma è stato criticato anche all’interno della Cina, poiché parte dell’opinione pubblica si interroga sull’utilità di erogare così tanti prestiti all’estero quando servirebbero investimenti per stimolare l’economia interna. Il valore dei contratti completati è sceso da 98 miliardi di dollari nel 2019 a 85 miliardi di dollari l’anno scorso. Inoltre, la Cina ha intensificato i suoi legami con il Medio Oriente, diventando il principale fornitore di fondi per l’Arabia Saudita e l’Iraq. Questo rafforzamento dei legami potrebbe minare ulteriormente la posizione americana in quelle regioni, specialmente dopo il ritiro delle truppe statunitensi dall’Afghanistan e l’annuncio di fine delle operazioni di combattimento in Iraq.
Per rispondere a questa crescente sfida cinese, l’Occidente sta cercando di invertire la rotta. Durante un incontro del club delle sette nazioni più industrializzate (G7) in Giappone nel maggio precedente, è stato presentato un piano per mobilitare 600 miliardi di dollari di investimenti pubblici e privati nei paesi a basso e medio reddito entro il 2027. L’obiettivo di questo piano è quello di contrapporsi in modo concreto all’espansionismo cinese, concentrandosi su iniziative quali sicurezza climatica ed energetica, connettività digitale, salute e emancipazione femminile. Resta da vedere se le democrazie saranno in grado di concretizzare questo impegno, considerando i problemi di debito e inflazione che affliggono molte di queste nazioni.
Infine, vale la pena menzionare che la Belt and Road Initiative ha creato numerosi problemi, compresi prestiti d’urgenza concessi dalla Cina a tassi di interesse molto più alti rispetto alle istituzioni finanziarie internazionali. Questi prestiti hanno raggiunto quasi i 200 miliardi di dollari dal 2016 al 2021, causando notevoli difficoltà a molti paesi indebitati, come l’Argentina, la Bielorussia, l’Ecuador, l’Egitto, il Laos, la Mongolia, il Pakistan, il Suriname, lo Sri Lanka, l’Ucraina e il Venezuela. Questi prestiti sembrano principalmente finalizzati a proteggere le banche statali cinesi e a impedire che i paesi indebitati vadano in default, piuttosto che a promuovere lo sviluppo economico sostenibile.
Inoltre, negli ultimi tempi, la Cina sembra aver adottato una strategia più mirata, focalizzandosi su progetti di “piccola scala” incentrati sull’energia verde e le infrastrutture digitali, con standard di qualità più elevati e maggiori rendimenti. Questo approccio mira a creare una Via della Seta più sostenibile ed ecocompatibile, basata su telecomunicazioni e infrastrutture legate al cloud computing. La Cina è diventata un leader nel settore 5G, offrendo servizi all’avanguardia a prezzi competitivi. Ciò ha sollevato preoccupazioni per la sicurezza, poiché le società tecnologiche cinesi sono obbligate per legge a collaborare con il governo cinese, mettendo a rischio la privacy e la sicurezza dei dati in Europa e in altre parti del mondo. La Commissione europea ha adottato misure per limitare la partecipazione di aziende cinesi nelle infrastrutture di connettività, ma solo dieci dei 27 paesi membri le hanno implementate.
La Cina e il suo ambizioso piano della Belt and Road Initiative rimangono al centro dell’attenzione globale. L’Occidente cerca di adottare una posizione più assertiva per affrontare la crescente influenza economica e politica cinese, ma le sfide e le complessità di questa situazione rimangono significative.
Marta Pennacchio