Comprendere una situazione e le sofferenze derivanti dalla stessa è fondamentale. Chi si avvicina a persone sofferenti, coinvolte direttamente o indirettamente, solo conoscendo la situazione potrà avere la giusta sensibilità.
L’idea di poter eliminare sofferenza dovrebbe essere l’obiettivo dei genitori degli amici e di qualunque essere umano che si auspica la serenità e/o la felicita di un altro essere umano. Purtroppo, non sempre ciò avviene. Qualunque cosa che si distacca dal nostro concetto “di normalità” induce a non far accettare l’altra persona.
Fortunatamente ho avuto il piacere di incontrare genitori che hanno accompagnato figli allo studio per chiedere il cambio di sesso. Ho avuto la Fortuna di condividere, dopo la sentenza, la loro felicità equiparata a una seconda nascita. Ho avuto la fortuna di incontrare Giudici che, lavorando con massima professionalità, hanno comunque mostrato una enorme delicatezza e umanità nei confronti dei miei clienti facendoli sentire in aula a loro agio compresi e capiti.
Per comprendere è necessario conoscere cosa si intende per L’identità di genere
L’identità di genere è un concetto relativamente nuovo, ed esprime il senso di appartenenza, da parte di una persona, verso un genere che può essere femminile, maschile o non binario.
Quanto parliamo di identità di genere, nella maggior parte dei casi rischiamo di dare per scontati molti aspetti, e molte sfumature, che riguardano la persona nella sua totalità. L’identità di genere, infatti, non è affatto detto che corrisponda al proprio sesso biologico.
L’identità sessuale può quindi differire dal genere e dai caratteri sessuali che risultano assegnati alla nascita, per esprimere il senso di appartenenza, da parte di un individuo, ad un sesso che può essere maschile, femminile oppure non-binario.
È importante comprendere cosa si intende con il termine identità di genere, quante sono le identità di genere e quali differenze sussistono tra genere, inteso biologicamente, e l’identità sessuale di un individuo.
L’identità di genere rappresenta il senso di appartenenza di un essere umano al genere – maschile, femminile o non binario – con il quale la persona si identifica. Non ha quindi a che fare né con l’identità biologica, né con l’orientamento sessuale.
Si definisce cisgender una persona nella quale il sesso biologico, l’identità di genere ed il ruolo corrispondono.
Quando gli uomini e le donne si riconoscono nel loro sesso biologico si definiscono cisgender. In base all’orientamento sessuale, i cisgender possono definirsi omosessuali o eterosessuali.
Quando la persona si identifica nel sesso biologico opposto al suo, si definisce transgender.
Transessuale è, invece, la persona che si è sottoposta o si sta sottoponendo alle operazioni necessarie alla transizione da un sesso all’altro.
L’identità di genere rappresenta il modo in cui la persona si percepisce.
In caso di discordanza si parla di disforia di genere
Quando la discordanza tra sesso biologico e identità di genere provoca sofferenza e dolore nella persona, parliamo di disforia di genere.
La disforia di genere indica un insieme di condizioni di sofferenza di ordine psichico determinate dal mancato allineamento tra il sesso biologico e l’identità sessuale.
Aspetto giuridico
L’Italia è stato il terzo paese a tutelare l’identità transgender. Oggi però la legislazione è rimasta indietro
Pensarlo oggi sembra incredibile, ma l’Italia è stato il terzo paese al mondo, dopo Germania e Svezia, a tutelare l’identità delle persone transgender. Adesso, mentre il resto del mondo continua a correre sui diritti, noi siamo rimasti fermi.
La prima legge di riferimento è la 164 del 1982, nata «negli anni d’oro dei diritti in Italia, quando la sensibilità era tale da concepire delle norme che fossero all’avanguardia persino rispetto a quelle svedesi»,
Oggetto di una lunga contrattazione, la legge italiana – la prima nel mondo senza requisiti d’età – era nata per consentire a chi si fosse già sottoposto a interventi chirurgici di riattribuzione del sesso di ottenere la modifica del genere sui documenti.
Sebbene la legge non lo richiedesse in modo inequivocabile, divenne prassi l’obbligo di sottoporsi a un intervento medico-chirurgico, con conseguente sterilizzazione, per poter essere riconosciuti legalmente.
Tre anni dopo la definizione «identità di genere» faceva la sua prima, seppur parziale, comparsa nell’ordinamento italiano. Nella sentenza 161 del 1985 della Corte Costituzionale si definiva «transessuale» il soggetto che «sente in modo profondo di appartenere all’altro sesso (o genere)». Ritornerà anni dopo, nel 2004, nella legislazione regionale della Toscana, che menziona espressamente l’identità di genere tra i fattori di discriminazione su cui intervenire. Anche l’ordinamento penitenziario, dopo la riforma del 2018, all’articolo 1 impegna a un trattamento rispettoso della dignità della persona, senza discriminazioni per la sua identità di genere.
Il termine era anche contenuto nella proposta di legge Zan, del 2021, pensata per estendere il reato di crimini d’odio anche alle discriminazioni sulla sfera sessuale, ma il progetto è naufragato anche e soprattutto sul mancato accordo nell’includere il concetto di identità di genere.
In sette paesi Ue – tra cui Belgio, Danimarca, Portogallo e Spagna – vige un modello semplificato per la modifica del sesso sui documenti, basato sull’autodeterminazione, per cui è sufficiente attestare un collegamento stabile con il genere di identificazione.
In Italia un primo cambiamento nell’interpretazione giurisprudenziale della legge del 1982 arriva, invece, solo nel 2013, quando il clamore mediatico di una sentenza del tribunale di Rovereto – che aveva concesso la rettifica del genere all’anagrafe a una donna non operata – innesca un effetto domino.
In uno dei primi casi, la giudice decise di ricorrere alla prassi antecedente al caso Rovereto: una lunga lista di quesiti rivolti a psichiatra, ginecologo e andrologo e la disposizione che la persona oggetto di “indagine” dovesse dormire con indosso uno strumento che ne verificasse la persistenza di funzione erettile.
Nel 2015 – in anticipo di due anni rispetto alla Corte europea di Strasburgo – le sentenze della Corte Costituzionale confermano che il cambio dei documenti può avvenire anche sulla base dei caratteri sessuali secondari e di una valutazione complessiva della persona, ribadendo, però, la necessità di un accertamento rigoroso «dell’univocità dell’intento».
Oggi in Italia per le persone che intendono chiedere la rettifica anagrafica rimane formalmente l’obbligo di seguire una serie di protocolli, come le sedute psicoterapeutiche e le terapie ormonali.
In sei paesi – come Malta, Austria o Germania – sono invece previste disposizioni che consentono al soggetto di non identificarsi in un genere definito. «Le nuove generazioni sono molto sensibili alla necessità di non sentirsi obbligate a incasellarsi in un genere. Eppure, in Italia non solo non c’è una legge in merito, ma non stiamo nemmeno affrontando il dibattito».
Avv. Mircko Marchione
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