Nel Salotto di Kreanews, condotto da Francesco Russo, il cantante e showman Alberto Selly ha raccontato il suo straordinario percorso nel mondo della musica, della televisione e del cinema. Un viaggio tra la tradizione napoletana e l’innovazione, tra il successo virale e il rispetto per la storia musicale partenopea.
Alberto, il tuo legame con Napoli è fortissimo. Cosa significa per te questa città?
«Essere napoletani è un vantaggio, io ne vado fiero. Amo la napoletanità, la musica, gli Scugnizzi nel loro senso più nobile, il nostro dialetto. Napoli è una città unica, che va contro i tempi o, spesso, li anticipa. Ho avuto la fortuna di crescere con un nonno che mi ha trasmesso la passione per la musica napoletana, facendomi ascoltare artisti come Sergio Bruni, Maria Paris, Luciano Rondinelli e tanti altri. Io stesso sono nato musicalmente negli anni ’80, vivendo tutte le metamorfosi della nostra musica.»
Sei un cultore della lingua napoletana. Quanto è importante saperla scrivere correttamente?
«Fondamentale! Purtroppo oggi si scrive il napoletano come lo si pronuncia, ma la nostra è una lingua vera e propria, con regole precise e un’ortografia ben definita. Ci sono dizionari e testi che permettono di impararla, e chi scrive canzoni in napoletano dovrebbe conoscerne bene le regole. Io stesso ho riportato in auge termini ormai in disuso, come morz (scoglio) nel mio brano Treglia. È importante rispettare la nostra lingua, perché solo così possiamo preservarla nel tempo.»
Dal palco alla TV: il fenomeno di “Cantiamoci Su”
Alberto Selly è stato tra i protagonisti di una delle trasmissioni cult della televisione napoletana: Cantiamoci Su.
Alberto, cosa ha rappresentato per te questa esperienza?
«È stata la mia palestra artistica. Negli anni ’90, Cantiamoci Su fu una rivoluzione: era la prima trasmissione in cui facevamo da jukebox umani. Il pubblico chiamava e chiedeva una canzone, e noi la eseguivamo in diretta. Un format che anticipava, in qualche modo, la dinamicità dei social di oggi. E fu il primo programma in cui mi pagarono per cantare! (ride) Successivamente ho avuto la fortuna di lavorare anche su Canale 21 e Telecapri Sport, con programmi come All’Arrembaggio, dove portavamo avanti la tradizione della musica napoletana, dando spazio a vecchie e nuove generazioni.»
Come è cambiato il rapporto con il pubblico televisivo?
«Un tempo la TV creava un legame diretto col pubblico. La diretta ti faceva capire immediatamente se una canzone funzionava o meno. Oggi, con i format più strutturati, quel rapporto è cambiato, ma la musica continua a essere il miglior modo per arrivare alla gente.»
Il successo internazionale con “Il Ballo del Cavallo” e il cinema
Alberto Selly è diventato un fenomeno musicale grazie al Ballo del Cavallo, un brano che ha fatto il giro del mondo, diventando una colonna sonora inarrestabile.
Alberto, come è nata questa hit?
«È stato un successo spontaneo. Il Ballo del Cavallo è diventato un tormentone, arrivando persino nel cinema. Ricordo ancora quando il regista Luca Miniero, mentre girava Benvenuti al Sud, mi disse: “Questa canzone è ovunque, la devo mettere nel film!”. Ed è finita anche nel sequel, Benvenuti al Nord. È incredibile come, ancora oggi, a ogni Carnevale o festa popolare, mi arrivino video di gente che la balla da ogni parte d’Italia.»
Sei stato anche protagonista al cinema. Come è stato far parte di “Benvenuti al Sud”?
«Un’esperienza bellissima! Quel film mi ha consacrato definitivamente. Ma il legame con il cinema è continuato anche dopo, con collaborazioni in colonne sonore e in programmi TV. Per esempio, in Benvenuti a Tavola su Mediaset, mi hanno chiesto di inserire un mio brano melodico, Semplicemente Ti Amo. Per me è stato importante, perché ha mostrato anche il mio lato più romantico e melodico, che spesso viene messo in ombra dalla parte ironica della mia carriera.»
Alberto, la tua musica ha attraversato generazioni. Qual è il segreto per rimanere attuale?
«L’ironia. Io scrivo canzoni che fanno riflettere e sorridere allo stesso tempo. Per esempio, Tengo la capa che fa bum bum è nata durante la pandemia e la guerra in Ucraina, raccontando con leggerezza un periodo difficile. La musica ironica ha una grande tradizione, da Nino Taranto a Renato Carosone, e io cerco di mantenerla viva.»
Ti senti un artista “immortale” grazie alla tua musica?
«Lo spero! (ride) Ma più che altro, mi fa piacere vedere che, dopo 40 anni di carriera, ci sono bambini di 6-7 anni che ancora cantano le mie canzoni. È il più grande riconoscimento che un artista possa avere.»
Nonostante il successo, sei sempre rimasto umile. È una scelta di vita?
«Sì, perché io faccio musica per passione, non per cercare chissà quale fama. Ho rifiutato persino proposte da Sanremo negli anni ’90 perché non volevo snaturare il mio stile. Ho sempre preferito rimanere fedele alle mie radici e al pubblico che mi ha sempre sostenuto.»
Alberto, cosa dobbiamo aspettarci dal futuro?
«Continuo a scrivere e a cantare. La musica è la mia vita e non mi fermo. Ogni anno ci sono nuove sfide e nuove idee, e io sono sempre pronto a mettermi in gioco.»
Un saluto speciale prima di chiudere?
«Sì, voglio salutare mio nipotino Alberto e la mia nipotina Anastasia, che mi seguono sempre. E grazie a Kreanews per questa bellissima chiacchierata!»
Intervista realizzata da Francesco Russo per Il Salotto di Kreanews.
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