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Gli Abusi Edilizi Risalenti

Che la nostra penisola sia disseminata, in molte aree, di immobili risalenti nel tempo che presentano difformità più o meno consistenti non è un mistero per nessuno.

Il problema è, in termini tecnico giuridici, trovare il modo per sanare i vizi riportando il bene ad un’intrinseca legittimità tale da poterne mantenere l’esistenza e/o l’eventuale “commerciabilità” laddove il mercato lo consenta.

Un primo discrimen deve farsi in base a quello che è il periodo di realizzazione dell’immobile. Come noto, difatti, l’introduzione nel nostro ordinamento dell’obbligo del permesso di costruire (alias licenza di costruzione) risale al 1942 per le costruzioni del centro abitato, mentre per quelle poste al di fuori del centro abitato è del 1967; con la Legge urbanistica n. 1150/1942 (entrata in vigore il 31/10/1942), segnatamente l’art. 31, il legislatore ha difatti introdotto l’obbligo del preventivo titolo edilizio per gli immobili inseriti nei centri abitati e solo successivamente, con la Legge n. 765/1967 (art. 10 che ha sostituito l’art. 31 a decorrere dall’01/09/1967), la limitazione legata ai centri abitati è stata soppressa e l’obbligo di dotarsi del preventivo titolo edilizio è stato esteso a tutto il territorio comunale e quindi anche alle zone fuori del centro abitato.

Deve però aggiungersi che pur non prevedendo, la legge, alcun obbligo di titolo edilizio per le costruzioni realizzate fuori del centro abitato ante 1967, la giurisprudenza prevalente ha inteso attribuire all’eventuale pianificazione locale, e regolamentazione comunale, la capacità di derogare all’assunto precedente sancendo la necessità del titolo anche prima dell’entrata in vigore della predetta legge del 1967 (o prima della Legge del 1942 se trattasi di immobile posto in centro abitato). In tal senso, tra le altre anche il Tar Lazio-Roma, nella sentenza n. 11196 del 07/11/2014, ha stabilito che al fine di determinare l’obbligo del titolo edilizio ante 1967 (costruzioni fuori dal centro) o ante 1942 (costruzioni del centro) occorre verificare se l’area su cui insiste sia o meno interessata da taluna forma di regolamentazione comunale che imponga il titolo per realizzare l’intervento.

Precisato ciò con riguardo all’obbligatorietà del titolo, è chiaro che se detto titolo edilizio, al tempo della realizzazione dell’intervento, non era richiesto perché vigeva l’edilizia libera e non vi era alcuna regolamentazione locale non può, in tali casi, parlarsi di abuso, difettando all’origine l’obbligo del permesso di costruire e non potendosi confrontare l’opera realizzata con il progetto autorizzato il quale, appunto, non esisteva. Diversamente, al sorgere dell’obbligo del titolo come sopra illustrato, l’opera dovrà essere preceduta dall’autorizzazione amministrativa (titolo) che consente al soggetto di realizzare legittimamente l’intervento.

È necessario quindi, quanto alla categoria degli “abusi”, raffrontarsi con il D.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico in materia di Edilizia) che, come noto, declina i tipi di abusi in ragione della loro carica lesiva.  Rientrano nella categoria degli abusi edilizi tutte le attività edilizie realizzate in violazione della normativa urbanistica, e dunque in assenza dei relativi titoli abilitativi o in difformità da quanto in essi prescritto.

L’illecito si verifica al realizzarsi di un’opera edilizia che può essere sia una costruzione su suolo non edificabile, o una costruzione in difetto di approvazione, o un ampliamento del volume o della superficie, o qualsiasi modifica alla sagoma di un edificio preesistente in assenza di completa autorizzazione amministrativa. L’illecito di tipo amministrativo integra (anche) un reato, comprendente anche il cambio di destinazione d’uso quando privo di autorizzazione.

Se l’abuso è risalente, o comunque è piuttosto difficile stabilirne con certezza la data, viene in soccorso la giurisprudenza ormai consolidatasi sul punto che stabilisce, in linea di principio, l’onere a carico del privato di provare la data di realizzazione del lavoro abusivo.

La stessa giurisprudenza, tuttavia, ammette un temperamento secondo ragionevolezza nel caso in cui il privato, da un lato, porti a sostegno della propria tesi sulla realizzazione dell’intervento prima di una certa data elementi non del tutto implausibili (aerofotogrammetrie, dichiarazioni sostitutive di edificazione, atti notarili etc) e, dall’altro, il Comune fornisca elementi incerti in ordine alla presumibile data della realizzazione del manufatto privo di titolo edilizio.  Il Tar Sardegna-Cagliari, nel caso trattato nella sentenza n. 355 del 06/10/2022, sottolinea questo passaggio inerente l’obiettiva incertezza sulla datazione dell’intervento in questione. Infatti, l’accatastamento avente data certa (1963) e le deduzioni sulla struttura costruttiva svolte dal consulente di parte non appaiono implausibili o prive di un sufficiente rilievo probatorio rispetto alle argomentazioni del Comune basate esclusivamente su un riscontro fotografico in realtà non decisivo, di talché, quando si rientra in uno di questi casi, incombe sul Comune che adotta l’ingiunzione di demolizione l’onere di comprovare in maniera adeguata la propria pretesa demolitoria (soprattutto in presenza di interventi, come nel caso di specie, risalenti a circa sessant’anni fa, collocati in un contesto urbanistico già ampiamente urbanizzato e ormai consolidati nel tessuto del territorio comunale).

In altri termini, la demolizione dell’opera viziata dall’abuso risalente risponde ad un concreto ed effettivo interesse pubblico quando il ripristino dello status quo risulti prevalente rispetto al legittimo affidamento maturato dal privato circa la legittimità dell’opera, tenuto sempre conto dell’entità e disvalore dell’abuso come pure del contesto in cui lo stesso si inserisce.

Il principio di ragionevolezza, come quello di proporzionalità, devono guidare la mano dell’Amministrazione dissuadendola dallo spiccare l’ordine di demolizione se l’abuso si profila nei termini sopra indicati.

Avv. Morena Luchetti
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