Nel Salotto di Kreanews, Ciro Capano ha ripercorso cinquant’anni di carriera artistica, dagli inizi nel mondo della sceneggiata fino ai successi nel cinema e in televisione. Con voce carica di emozione, l’attore ha raccontato incontri, personaggi e maestri che hanno segnato la sua vita professionale, sottolineando l’importanza della gavetta e del rigore di un tempo.
Come è iniziata la tua carriera nel mondo del teatro?
«Ho debuttato nel 1975 al Teatro 2000 di Napoli, nel cuore della sceneggiata, con la compagnia stabile di Beniamino Maggio. Ero molto giovane, ma già allora ho avuto la fortuna di avere come maestri grandi interpreti: Raimondo Salvetti, Maria Di Maio e tanti altri nomi che hanno fatto la storia del teatro napoletano. Da loro ho imparato il rigore, la professionalità e soprattutto il rispetto per il pubblico.»
Ti definiscono uno degli ultimi “cantanti di giacca”. Cosa significa?
«È un termine che indica la tradizione del cantante di sceneggiata, che entrava in scena con eleganza, spesso con giacca e cravatta, trasformandosi di volta in volta con pochi, rapidi accorgimenti. Si dice “di giacca” perché bastava cambiare una giacca, un cappello, un fazzoletto, per interpretare un personaggio o una canzone diversa. Questa tradizione me l’hanno trasmessa personaggi come Dante Maggio, Nino Taranto e Pino Mauro, che ho avuto l’onore di avere come maestri e colleghi.»
Quanto è stata importante la gavetta nel tuo percorso artistico?
«Fondamentale. All’epoca si facevano tournée lunghissime, anche di sette-otto mesi di fila. Oggi, invece, è difficile arrivare a novanta giorni di repliche. La gavetta ti formava, ti insegnava a stare in scena, ad assorbire tutto dai grandi attori. Dovevi essere una spugna e rispettare i maestri. Ho avuto la fortuna di lavorare con Luisa Conte, un’attrice straordinaria che considero come una seconda mamma. Fu lei a trasmettermi il senso profondo del teatro popolare e l’amore verso il pubblico.»
Dalla sceneggiata al cinema e alla TV. Come hai vissuto questo passaggio?
«Passare al cinema e alla televisione è stato naturale, ma il teatro mi ha dato una preparazione decisiva. Essere un attore teatrale ti rende più solido anche sul set. Ho avuto la fortuna di lavorare con registi come Mario Martone e Marco Tullio Giordana, e con Paolo Sorrentino in “È stata la mano di Dio”. In particolare, Sorrentino si è molto incuriosito quando ha scoperto il mio legame con la sceneggiata. La sceneggiata, per lui, era un mondo affascinante: mi faceva tante domande, voleva sapere tutto di quell’epoca e di quei grandi interpreti.»
Hai citato Luisa Conte, Mario Merola, Pino Mauro e tanti altri. Cosa ricordi in particolare dei tuoi maestri?
«Nei miei primi anni di sceneggiata, ho lavorato con Pino Mauro, che mi ha insegnato la tecnica sul palcoscenico, e con Mario Merola, che colpiva per la sua forte spontaneità. Ma il ricordo più intenso è legato a Luisa Conte, che, oltre a essere una grandissima attrice, era una persona generosa, quasi materna. Mi ha insegnato l’arte, ma anche l’umanità. Al Teatro Sannazaro, era una vera guida: se vedeva che sbagliavi intonazione, ti diceva “Arecchia!”, e bastava quello a farti capire tutto.»
Com’è stata la collaborazione con Paolo Sorrentino?
«È un regista che sa guardare dentro le persone. Durante il provino, ha voluto sapere tutto della mia esperienza nella sceneggiata. Si è messo ad ascoltare i miei aneddoti per mezz’ora abbondante, con grande curiosità. Sul set, è attentissimo a ogni dettaglio e, a fine riprese, mi ha commosso stringendomi in un abbraccio e dicendomi che nel mio modo di recitare si vedeva la “forza di chi viene dalla sceneggiata”. Queste parole, per me, valgono tantissimo.»
A breve sarai di nuovo in teatro con un ruolo nuovo. Puoi raccontarci di più?
«Dal 28 di questo mese debutto al Teatro Mercadante con “Il fu Mattia Pascal”, per la regia di Marco Tullio Giordana. È la prima volta che interpreto un ruolo in italiano in un testo pirandelliano così importante, al fianco di Geppy Gleijeses. Sono emozionatissimo, ma anche felice: dopo anni di attività, mettermi alla prova su Pirandello è una sfida entusiasmante.»
Come vedi il futuro del teatro napoletano e della sceneggiata?
«Il teatro napoletano ha radici forti e una storia secolare. La sceneggiata è un patrimonio popolare che non deve andare perduto, ma essere riletto e trasmesso ai giovani. Tuttavia, ho qualche preoccupazione: i finanziamenti per la cultura sono pochi e non vedo un meccanismo che tuteli gli artisti nella fase di calo di lavoro. Spero che qualcosa cambi, perché il nostro Paese non può vivere senza teatro.»
Intervista realizzata da Francesco Russo per Il Salotto di Kreanews.
Rivivete la puntata completa su YouTube e lasciatevi coinvolgere dalla passione, dall’energia e dalla testimonianza di Ciro Capano, un artista che ha saputo attraversare con dignità e talento mezzo secolo di spettacolo italiano.