Nel cuore di Caiazzo, un piccolo borgo in provincia di Caserta, Franco Pepe ha rivoluzionato il concetto di pizzeria. Maestro pizzaiolo di terza generazione e imprenditore visionario, ha trasformato la tradizione familiare in un’esperienza culinaria unica che attira appassionati da tutto il mondo. Abbiamo incontrato Franco Pepe per discutere della sua visione, dell’importanza delle materie prime locali e dei consigli per le nuove generazioni di pizzaioli.
Franco, sei la terza generazione di una famiglia di pizzaioli. Come ha influenzato la tua formazione crescere in questo ambiente?
«Sono letteralmente nato in pizzeria. La mia famiglia ha iniziato a panificare negli anni ’30 con mio nonno, che poi, insieme a mio padre, ha introdotto la pizza accanto al pane negli anni ’50. Crescere in questo ambiente ha significato respirare ogni giorno il profumo dell’impasto, vivere i ritmi e le tradizioni di un mestiere antico. Quando ho iniziato il mio percorso personale, volevo onorare questa eredità ma anche portare qualcosa di nuovo, creando una pizzeria diversa che mettesse al centro l’esperienza del cliente e la valorizzazione del territorio».
Cosa ti ha spinto a creare “Pepe in Grani” e come differisce dalla classica pizzeria tradizionale?
«Quando sono uscito dall’azienda di famiglia, sentivo il bisogno di creare qualcosa di unico. Volevo una pizzeria che non si limitasse a servire pizza, ma che offrisse un’esperienza completa. “Pepe in Grani” è nata con l’idea di proporre un percorso sensoriale: dall’accoglienza nelle diverse sale, ognuna con la sua atmosfera, alla cura nei dettagli dell’arredamento e del servizio. Abbiamo introdotto sale per la degustazione, abbinamenti con vini pregiati—abbiamo oltre 140 etichette in carta—e persino camere per gli ospiti che desiderano soggiornare. Volevo trasformare il concetto di pizza da fast food a un’esperienza “slow”, dove il cliente potesse prendersi il tempo per apprezzare ogni aspetto».
Hai creato “Autentica”, la pizzeria più piccola al mondo all’interno di “Pepe in Grani”. Puoi parlarci di questa esperienza unica?
«”Autentica” è nata nel 2017 ed è la pizzeria più piccola al mondo, con soli otto posti. L’ho creata per offrire un’esperienza ancora più intima e personalizzata. In questo spazio, preparo e racconto le pizze direttamente ai clienti, senza la barriera della sala. È un modo per condividere la mia passione e creare un legame diretto con chi viene a trovarci. Abbiamo ospiti che arrivano da tutto il mondo, come otto messicani da Città del Messico o otto persone da Los Angeles, venuti appositamente per vivere questa esperienza a Caiazzo».
Parliamo dell’importanza delle materie prime locali nella tua cucina. Come selezioni gli ingredienti e quanto è importante per te valorizzare il territorio?
«Ho sempre giurato che avrei messo il mio territorio sulla mia pizza. Nel 2012, quando ho iniziato, non era scontato utilizzare prodotti locali a causa della cattiva reputazione legata alla “Terra dei Fuochi”. Ma io credevo nella qualità delle nostre materie prime. Ho lavorato fianco a fianco con contadini e produttori locali, aiutandoli a trasformarsi in aziende agricole. Ad esempio, il pomodoro riccio che utilizzo sulla “Margherita Sbagliata” proviene da semi che risalgono all’Ottocento. All’epoca me lo davano spontaneamente; oggi è diventato un prodotto di eccellenza venduto in tutto il mondo. Lo stesso vale per l’oliva caiazzana, la cipolla di Alife, l’origano del Matese. Utilizzando questi ingredienti, non solo offro un prodotto di qualità, ma contribuisco a sostenere l’economia locale e a preservare le tradizioni».
In che modo riesci a coniugare tradizione e innovazione nel tuo lavoro?
«Credo fermamente che non ci possa essere evoluzione senza mettere in discussione la tradizione. Ho grande rispetto per ciò che mi è stato trasmesso, ma sento anche la responsabilità di innovare. Questo significa sperimentare nuovi abbinamenti, tecniche e concetti. Ho integrato la cucina nella pizzeria, trasformando la materia prima prima di metterla sull’impasto, per preservarne le proprietà nutrizionali e il sapore. Inoltre, lavoriamo con un team scientifico che comprende biologi nutrizionisti e agronomi per garantire che le nostre pizze siano non solo buone, ma anche sane».
Quali consigli daresti ai giovani che vogliono intraprendere la carriera di pizzaiolo?
«Ai giovani dico di crederci davvero e di avere fame di conoscenza. Il mestiere del pizzaiolo oggi non è più quello di una volta; richiede competenze a 360 gradi. Bisogna conoscere l’impasto, certo, ma anche le materie prime, le tecniche di cucina, l’accoglienza, persino elementi di nutrizione. È importante formarsi continuamente e non smettere mai di imparare. Inoltre, credo sia fondamentale riconoscere istituzionalmente la figura del pizzaiolo e creare percorsi formativi adeguati, affinché questo mestiere sia valorizzato come merita».
Hai ricevuto importanti riconoscimenti, tra cui il titolo di Cavaliere della Repubblica. Come vedi il futuro della pizza italiana e qual è il tuo sogno?
«Mi sento onorato dei riconoscimenti ricevuti, ma penso che il percorso sia ancora lungo. Il mio sogno è che la pizza continui a evolversi, mantenendo le sue radici ma abbracciando l’innovazione. Vorrei che le nuove generazioni mettessero in discussione ciò che abbiamo fatto per portare avanti l’evoluzione. Spero di aver trasmesso ai miei figli e al mio team non solo le competenze, ma anche la passione e l’importanza di questo mestiere. Vedo un futuro in cui la pizza non è solo un piatto, ma un’esperienza culturale e sensoriale che rappresenta l’Italia nel mondo».
C’è una pizza a cui sei particolarmente legato?
«Sì, ed è una pizza che ha creato mio padre: il calzone con la scarola riccia cruda, acciughe di Cetara, capperi di Pantelleria, olive caiazzane e un filo d’olio. È una pizza semplice ma ricca di profumi e sapori che mi riportano all’infanzia. Per me rappresenta un punto di riferimento e un modello di eccellenza a cui aspiro ancora oggi».
Durante la pandemia hai aiutato la tua comunità. Puoi parlarci di questa esperienza e di cosa significa per te il senso di responsabilità sociale?
«Durante la pandemia, ho sentito il dovere di fare la mia parte. Ho cercato di sostenere la mia comunità come potevo, perché credo che chi ha la possibilità debba aiutare gli altri. Questo periodo mi ha fatto riflettere ancora di più sull’importanza della solidarietà e del legame con il territorio. Ricevere il riconoscimento di Cavaliere della Repubblica per questo è stato un onore, ma soprattutto un incoraggiamento a continuare su questa strada».
Per concludere, quali sono i tuoi progetti futuri e cosa speri che i tuoi clienti portino con sé dopo aver visitato “Pepe in Grani”?
«Continuerò a lavorare per migliorare e innovare. Mi sveglio ogni mattina con l’obiettivo di alzare l’asticella, come diceva Ciro Paone di Kiton: “Il meglio del meglio più uno”. Spero che i clienti, oltre a gustare un buon prodotto, possano vivere un’esperienza completa, fatta di sapori autentici, accoglienza calorosa e scoprire qualcosa in più sulla cultura e le eccellenze della nostra terra. Voglio che portino con sé un ricordo che li leghi a noi e che li faccia sentire parte di questa grande famiglia».
Ringraziamo Franco Pepe per aver condiviso con noi la sua passione e la sua visione. “Pepe in Grani” a Caiazzo rappresenta un esempio virtuoso di come tradizione e innovazione possano fondersi per creare un’esperienza unica. Per scoprire di più sulle sue attività e prenotare una visita, vi invitiamo a visitare il sito web ufficiale e a seguire i canali social di Franco Pepe.
Intervista realizzata da Michele Chianese per Il Salotto di Kreanews. Rivivi la puntata completa su YouTube e immergiti nell’esperienza unica di questa straordinaria conversazione.