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Giovanni Pascoli: X Agosto

Giovanni Pascoli nacque il 31 dicembre 1855 a San Mauro di Romagna. La sua vita fu segnata da eventi familiari tragici, tra cui l’assassinio del padre quando aveva solo dodici anni. Questo evento influenzò profondamente la sua opera poetica, caratterizzata da temi di perdita, nostalgia e ricerca di sicurezza in un mondo percepito come ostile e minaccioso.

Pascoli studiò all’Università di Bologna, dove conseguì la laurea in lettere classiche. Successivamente intraprese la carriera accademica, diventando professore di lingue classiche. La sua poesia si distacca dalla tradizione romantica per abbracciare elementi simbolisti e si lega al concetto di “fanciullino”, simbolo dell’innocenza e della meraviglia infantile di fronte al mondo. Tra le sue opere più note si annoverano Myricae, Poemi conviviali e Canti di Castelvecchio. Pascoli morì il 6 aprile 1912, lasciando un’eredità di grande impatto sulla letteratura italiana.

X Agosto: Una Poesia Iconica

La celebre poesia “X Agosto” è una delle opere più famose di Giovanni Pascoli, inclusa nella raccolta Myricae. La poesia, composta da sei quartine con endecasillabi e novenari a rime alternate, è dedicata alla morte del padre, assassinato in circostanze misteriose il 10 agosto 1867. Questo evento segna profondamente la vita del poeta.

Questa poesia è una complessa rete di simboli che richiamano la visione pessimistica della vita di Pascoli e il suo concetto del “nido”, inteso sia come dimora che come nucleo familiare. Il titolo stesso è un simbolo: il 10 agosto, giorno della morte del padre, coincide con la notte di San Lorenzo, famosa per le stelle cadenti. Pascoli vede questo fenomeno naturale con gli occhi di un uomo sofferente, riconoscendo nelle stelle cadenti le lacrime di un grande pianto, quello di un cielo disperato e deluso, proprio come lui.

X Agosto

San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l’aria tranquilla
arde e cade, perché si gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.
Ritornava una rondine al tetto:
l’uccisero: cadde tra i spini;
ella aveva nel becco un insetto:
la cena dei suoi rondinini.
Ora è là, come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell’ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.
Anche un uomo tornava al suo nido:
l’uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono.
Ora là, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.
E tu, Cielo, dall’alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh! d’un pianto di stelle lo inondi
quest’atomo opaco del Male!

Nella prima strofa, Pascoli afferma di sapere il motivo per cui il Cielo “piange” stelle cadenti. Nelle strofe successive, introduce i due personaggi principali: una rondine e un uomo. La rondine, uccisa mentre tornava al nido, simboleggia l’innocenza strappata via. I suoi piccoli, affamati e inconsapevoli, attendono invano il suo ritorno.

Analogamente, l’uomo, gravato della responsabilità di una famiglia, viene ucciso mentre tornava a casa. Quest’uomo rappresenta il padre, ucciso sulla strada del ritorno mentre portava in dono due bambole per le figlie. Nell’ultima strofa, si rivolge al Cielo, chiedendo giustizia per il Male che domina la Terra, rappresentato dalla pioggia di stelle cadenti che simboleggia la tristezza del Cielo per le ingiustizie subite dagli innocenti.

L’intera poesia si basa sull’analogia tra l’uomo e la rondine, incarnando lo sgomento di Pascoli per l’ingiustizia che colpisce creature innocenti e chiedendo giustizia non per sé, ma per coloro che sono stati lasciati orfani.

Pascoli con le sue poesie dimostra come il dolore personale possa trasformarsi in arte universale. Ci ricorda la fragilità della vita e l’inevitabilità della perdita, esortandoci a trovare conforto nella bellezza e nell’innocenza del mondo.

La sua eredità letteraria rimane un faro di introspezione e umanità per le generazioni future.

Sharon Irollo
Instagram: @salliland

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